Annamaria Ajmone raggiunge Singapore per la seconda parte del progetto Grey Space, un percorso sperimentale che vuole lasciare spazio alla sperimentazione e approfondire le possibilità di accompagnamento e relazione tra artisti e produttori.
Il progetto è ideato e promosso da T.H.E Dance Company, Singapore, e prevede che artisti di diverse nazioni possano radunarsi in un contesto accogliente e a loro congeniale per incontrarsi, presentare le proprie pratiche, verificare la possibilità di trovare temi e dinamiche comuni su cui lavorare.

Per identificare gli artisti, è stata creata una rete internazionale informale: oltre a Crossing the sea, ne fanno parte Oduro Akita International Dance Festival (Giappone), Hong Kong Dance Exchange (Hong Kong), Contemporary Dance Exchange (Macao), Indonesian Dance Festival (Indonesia), BIPAM Bangkok International Performing Arts Meeting (Thailandia), Arabesque Dance Company (Vietnam).

Nel 2021, gli artisti hanno effettuato una residenza digitale; nel 2022, si sono finalmente incontrati per lavorare insieme per due settimane, al termine delle quali hanno presentato un work in progress. Annamaria ha lavorato sul tema della “radio therapy”, nato dalla fusione di idee con Pakhamon Much Hemachandra (Thailandia) e Nguyen Chung (Vietnam): ne è nata una performance / installazione immersiva, in cui il pubblico è invitato a prendere parte alla “terapia” muovendosi liberamente in uno spazio.

Per il 2023, si vuole verificare l’interesse dei partner ad ospitare un successivo momento di lavoro degli artisti per finalizzare la creazione.

“Guardare i grattacieli è una delle cose più belle, se un po’ ti piace l’architettura, ma sovrana è la giungla che comunque si ribellerà. L’erba rampicante che mangia le autostrade (che ogni anno immagino rimettano apposto) mi parla di questo, di quello che c’è dove forse non ci dovrebbe essere. Le radici delle piante spaccheranno l’asfalto, divoreranno la città?

“Avevo incontrato Much e Chung già qualche volta online. Ci siamo scelti, in maniera casuale, e forse per fascinazione reciproca. Ma incontraci a Singapore in qualche modo ci ha spiegato anche perché ci siamo scelti. Forse proprio per la nostra “sconvenienza”.”

“È stato bello e difficile. Bello, perché credo nel valore di tutti i progetti di scambio, scambiarsi dei saperi e farli circolare; credo nella circuitazione delle informazioni, credo che l’arte debba essere fluida, e noi con lei. Un pensiero ecologico, creare da ciò che già esiste, non c’è nulla di nuovo, ma differenti manifestazioni.

“Siamo arrivati al giorno prima senza sapere bene cosa avremmo presentato e poi abbiamo scelto di fare una scelta esperienziale, condividere con gli altri l’esperienza che stavamo facendo noi. Non so se quella sia la forma definitiva, ma sicuramente è la forma che in quel momento era pensabile e giusta per noi. Sono stata molto felice che siamo riusciti ad essere così onesti con la nostra ricerca.”